Traumi con la “T” maiuscola e con la “t” minuscola
Tutti noi, per il semplice fatto di vivere, siamo esposti all’eventualità di sperimentare traumi psicologici (termine che deriva dal greco τραῦμα, ατος e che significa “ferite dell’anima”).
Esistono traumi che si possono definire “con la T maiuscola”: sono ferite importanti che minacciano la nostra integrità, come per esempio calamità naturali, incidenti stradali, aggressioni, stupri, violenze, omicidi o suicidi di persone care, diagnosi infauste.
Ma vi sono anche traumi che possiamo definire “con la t minuscola”, esperienze che sembrano oggettivamente poco rilevanti, ma che possono assumere un peso soprattutto se ripetute nel tempo o se subite in momenti di particolare vulnerabilità o nel periodo dell’infanzia.
E’ allora che umiliazioni, abbandoni, trascuratezza e paure possono lasciare il segno modificando non solo i nostri atteggiamenti, le emozioni e le relazioni con gli altri nel corso della nostra vita, ma, come hanno dimostrato studi all’avanguardia nel campo della neurobiologia, imprimendosi anche in specifiche aree cerebrali. Questo vale per tutti i tipi di traumi, sia per quelli maggiori, sia per quelli minori.
Le conseguenze a livello psicologico
Grazie alle proprie risorse e all’aiuto del prossimo la maggioranza delle persone traumatizzate riesce a recuperare un nuovo equilibrio, ma ci sono ferite che continuano a sanguinare anche a distanza di anni. Nel caso dei traumi con la T maiuscola le persone possono reagire con “paura, senso di vulnerabilità e orrore”, secondo la definizione fornita dal Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali DSM-V (2013), redatto dall’American Psychiatric Association (APA) riguardo al DSPT, Disturbo Post Traumatico da Stress.
In questi casi il trauma è vissuto come sempre presente, le sensazioni sono vive e sembra che l’evento sia successo pochi giorni prima, anche se risale a mesi o addirittura anni addietro.
La sofferenza psicologica dei traumi “con la t minuscola” può essere di minore impatto, ma ugualmente invalidante. Sensazioni di insicurezza, mancanza di autostima, colpevolizzazioni, attacchi di panico, ansie… sono gli strascichi più frequenti.
Dietro le quinte: cosa accade nel cervello
Per stare meglio, la nostra mente mette in campo le proprie risorse.
Infatti, così come siamo dotati di un sistema immunitario che provvede a guarire le ferite fisiche, possediamo anche un naturale e saggio sistema di riparazione delle ferite dell’anima.
Gli eventi traumatici, in questo caso, non vengono cancellati, ma rielaborati in modo adattivo, permettendoci di andare avanti, spesso con risorse nuove, aggiuntive, che ci serviranno per affrontare le altre difficoltà.
Il passato, in questi casi, resta nel passato e noi possiamo proseguire sul cammino della vita.
Quando un trauma resta irrisolto, invece, diventa parte di un circolo vizioso di pensieri, emozioni, sensazioni corporee disturbanti.
Si è visto da numerose ricerche che i ricordi traumatici sono immagazzinati nel cervello in modo differente rispetto ai ricordi non traumatici.
I primi si collocano soprattutto nell’emisfero destro, separati dai ricordi positivi, come se fossero congelati in uno spazio e tempo diversi dal resto dei nostri vissuti. Qui continuano ad agire, anche se queste cicatrici sono in realtà il ricordo di ciò che è successo.
EMDR, la chiave che apre i giardini della memoria
L’EMDR (dall’inglese Eye Movement Desensitization and Reprocessing, Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari), è un trattamento psicoterapeutico scoperto nel 1989 dalla psicologa americana Francine Shapiro (1948-2019).
Utilizzato in origine per alleviare lo stress associato ai ricordi traumatici, ha ricevuto negli anni molti supporti clinici coinvolgendo psicoterapeuti, ricercatori della salute mentale, neurofisiologi. Oggi è considerato il trattamento evidence-based per il Disturbo Post Traumatico da Stress, validato da più ricerche e pubblicazioni di qualunque altra psicoterapia nel campo del trauma.
E’ approvato, tra gli altri, dall’American Psychological Association (1998-2002), dall’American Psychiatric Association (2004), dall’International Society for Traumatic Stress Studies (2010), dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2013 e dal nostro Ministero della salute nel 2003.
Gli aspetti vincenti dell’EMDR sono la velocità di intervento, l’efficacia e la possibilità di applicazione a persone di qualunque età, compresi i bambini.
Come si svolge una seduta di EMDR
Inizialmente lo psicoterapeuta che ha ricevuto la specifica formazione in EMDR raccoglie la storia del paziente, identificando con lui tutti gli eventi che hanno contribuito a sviluppare il problema: attacchi di panico, ansie, fobie.
Sono questi ricordi che verranno elaborati con l’EMDR. Il paziente viene invitato a notare i pensieri, le sensazioni fisiche e immagini collegati all’esperienza traumatica, mentre il terapeuta gli fa compiere dei semplici movimenti oculari, o procede con stimolazioni alternate destra-sinistra.
Tali stimolazioni hanno lo scopo di favorire una migliore comunicazione tra gli emisferi cerebrali e si basano su un processo neurofisiologico naturale, simile a quello che avviene nel sonno REM (fase del sonno durante la quale si sogna).
Dopo l’EMDR il paziente ricorda ancora l’evento, ma sente che tutto ciò fa parte del passato ed è integrato in una prospettiva più adulta.
Dopo una o più sedute i ricordi disturbanti legati all’esperienza traumatica si modificano: il cambiamento è molto rapido, indipendentemente dagli anni che sono passati dall’evento, i pensieri intrusivi si attutiscono o spariscono, le emozioni e le sensazioni fisiche si riducono di intensità.
Studi randomizzati controllati hanno dimostrato che nel giro di 3-6 sedute si ha dal 77% al 110% di remissione del DSPT in vittime di traumi singoli, mentre occorrono almeno 12 sedute per vittime di traumi multipli, come per esempio nei reduci di guerra.
Le conferme da studi di neuroimaging
La tendenza a rivivere il trauma attiva le reti neuronali coinvolte nelle risposte legate alla paura, causando modificazioni in specifiche aree del cervello.
Con la tecnica della neuroimmagine funzionale (2012) si è dimostrato che esiste un cambiamento significativo nell’attivazione delle aree cerebrali dopo la terapia con EMDR, da regioni limbiche con una valenza emotiva elevata a regioni corticali con una valenza associativa.
In pratica, l’EMDR trasforma l’esperienza da emotiva a cognitiva, in cui diverse regioni cerebrali partecipano all’elaborazione dell’esperienza. In seguito a una psicoterapia con EMDR la persona rafforza aspetti legati alla propria autostima, è più centrata sul qui e ora e sul senso di sé, ha più fiducia nelle sue capacità e nel suo valore come persona.
Gli eventi traumatici perdono così l’iniziale impatto emotivo per venire trasformati in una risorsa positiva.
Dopo un trauma o uno stress grave, con la terapia EMDR si acquista la consapevolezza che ciò che è successo non si può cambiare, ma il ricordo può essere trasformato liberando risorse preziose per la guarigione e il benessere dell’individuo e della comunità.